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giovedì 22 marzo 2012

Il nostro sì alla riforma del lavoro? Non è affatto scontato


22/3/2012

«Ora il Parlamento deve cambiare la norma. Il nostro sì non è scontato»
di Maria Zegarelli - da L'Unità


«Il nostro sì alla riforma del lavoro? Non è affatto scontato». E il premier Mario Monti meglio farebbe «a non dimenticare che il suo governo è nato anche perché un grande partito, il Pd, ha lavorato affinché questo avvenisse». È una Rosy Bindi amareggiata quella che parla mentre raggiunge Montecitorio per presiedere l'Aula che voterà la fiducia alle liberalizzazioni. La chiusura del dialogo con le parti sociali e la blindatura sull'articolo 18 hanno aperto la discussione interna al Pd e mai come ora il partito rischia la tenuta.

Bindi, sta dicendo che è cambiato il rapporto del Pd con il governo?
«Sto dicendo che questo governo e il suo presidente del Consiglio possono andare avanti se rispettano la dignità di tutte le forze politiche che lo sostengono».

Questa chiusura improvvisa sull'articolo 18 è vissuta come un tradimento, soprattutto dopo il vertice a quat­tro della scorsa settimana, o no?
«Sto ai fatti: durante quell'incontro con i leader dei partiti che sostengono l'esecutivo si era deciso di procedere con l'accordo tra le parti, come presupposto fondamentale, e questo non è quello che sta avvenendo. Riteniamo che questo sia un gravissimo errore del governo. Le riforme strutturali, come quella che riguarda il mercato del lavoro, richiedono impegno e accordo da parte di tutti».

E qui forse inizia anche la fase più difficile per il Pd. Come farete a tro­vare un punto di sintesi tra chi vuole la riforma così com'è e chi vuole modi­fiche?
«Sapevamo che sarebbe stato un passaggio difficile, ma il problema non siamo noi. Le nostre differenze riflettono visioni diverse dei bisogni del futuro del Paese. Questa non è una battaglia per il Pd ma per l'Italia».

Bersani ha detto che non morirà mo­netizzando il lavoro. Non è anche la battaglia per salvare il Pd?
«Noi dobbiamo trovare, attraverso il dibattito interno, un nostro punto di sintesi e la direzione di lunedì sarà l'occasione giusta. Ma la nostra posizione comune non può che essere per un impegno a modificare il testo in Parlamento, e non sto parlando soltanto dell'articolo 18».

Cos'altro non le piace di questa rifor­ma?

«Di sicuro in questa riforma c'è la libertà di licenziamento, ed è altrettanto sicuro che non si sono fatti passi forti e significativi per il superamento delle differenze tra lavoro a tempo indeterminato e il precariato. Le finalità della riforma non mi pare siano state raggiunte».

Ichino non la pensa come lei. Dice che in questa riforma ci sono tante delle istanze Pd.
È vero, ci sono alcune delle nostre proposte, come quella che riguarda il costo del lavoro precario che deve essere superiore rispetto al costo del lavoro a tempo indeterminato. Ma temo che con la libertà di licenziamento si sia annullato tutto quello che di buono c'è».

Ichino le direbbe che queste sono preoccupazioni «fuori luogo» perché l'articolo 18 non deve essere considerato "indigesto per il Pd".
«Non lo sarà per lui, ma per il Pd è indigesto tutto ciò che è indigesto per i lavoratori».

Franceschini si augura che il governo presenti un disegno di legge. E se arrivasse l'ennesimo decreto?
«Il presidente del Consiglio ha detto che deciderà il Parlamento. Bene, stavolta lo faremo davvero in un confronto aperto e non blindato. Se pensa di andare avanti con il ritmo di una fiducia a settimana sbaglia».

Stavolta non sarebbe scontato il vostro appoggio?
«Assolutamente no».

Napolitano dice che l'articolo 18 è soltanto una parte e non il tutto. Sembra rivolgersi a voi del Pd.
«Raccogliamo l'invito del presidente della Repubblica e proprio guardando a tutto il progetto di riforma ribadisco la necessità di modifiche in Parlamento».

Secondo molti, anche nel Pd, questa è la prova del fuoco per Bersani. Secon­do lei?
«Credo sia la prova del fuoco per il governo, non per Bersani. Questo esecutivo si regge sul sostegno leale di tre forze politiche, fino a questo momento il Pd è stato chiamato a fare la parte più importante e l'ha fatta. Dopo le pensioni, la riforma del mercato del lavoro, senza liberalizzazioni vere, senza lotta all'evasione seria, alla corruzione e ai pote­ri criminali veri, senza una riforma dell'informazione, senza cioè una mano forte con i poteri forti, per noi con questo governo inizia una nuova fase».

Bindi, non è che il più grande terremoto politico lo sta per provocare il governo tecnico?
«Le scelte di questo governo possono avere importanti conseguenze politiche e noi siamo pronti ad assumerci la responsabilità di questo. Ma sia chiaro: io continuerò a portare avanti una battaglia, dalla legge elettorale alla riforma del lavoro, che scongiuri per il dopo Monti una stagione di larghe intese. In questo momento l'impressione è che il governo stia attuando la lettera della Bce nella direzione che avrebbe potuto scegliere Berlusconi. Io francamente non sono più disponibile a dare il mio voto a un governo che fa scelte di destra».

Anche perché la base Pd sul web si sta ribellando e minaccia di non votarvi più se cederete sulla riforma del lavoro.
«Noi dobbiamo fare una riflessione che vada oltre l'orizzonte elettorale, anche se ci sono le amministrative, perché non è questo di cui ha bisogno il Paese. Noi dobbiamo dare una risposta politica a un disagio sociale che sta crescendo sempre di più nel Paese. Spetta al Partito democratico farsi carico delle istanze delle fasce sociali più esposte e lavorare per dare risposte concrete».

Bindi, sta bocciando il governo?
«Sto dicendo che ascolto grandi annunci ma di riforme strutturali ne vedo ben poche. Monti dovrebbe avere maggiore considerazione e rispetto delle posizioni del più grande partito del Paese che per sostenere il suo governo ha rinunciato ad andare a elezioni che avrebbe vinto».

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