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Chi dorme non piglia pesci: se non ti occupi della politica, la politica, o prima o poi si occuperà di te...

venerdì 20 settembre 2013

Appello agli elettori del Partito Democratico da parte di Fabrizio Barca, Goffredo Bettini, Felice Casson, Pippo Civati, Laura Puppato, Debora Serracchiani




Appello agli elettori del Partito Democratico


Questo appello è rivolto a tutti gli elettori del Partito Democratico affinché diano il loro contributo partecipando al prossimo congresso in maniera attiva.
L'analisi delle criticità ci vede concordi circa un Partito Democratico spesso ingabbiato da logiche correntizie, incapace di cogliere i cambiamenti del nostro tempo, ammalato di tatticismo e di personalismi, poco propenso ad ascoltare la base, il suo elettorato e la voce dei territori.
La missione del Partito Democratico è quella di governare l'Italia. Oggi dobbiamo fare quei cambiamenti di sistema indispensabili a farla divenire il Paese del  rispetto e del merito che è il fondamento di ogni società, dove crescita economica e benessere umano, ambientale e civile vanno di pari passo. Per questo serve un congresso ricco di contenuti e di obiettivi.
Il congresso del Partito Democratico sarà il momento in cui non si rinnoveranno solo i dirigenti nazionali e locali, ma si definirà la linea politica dei prossimi anni.
Abbiamo l'idea di un partito che non sia consociativo ma alternativo al centrodestra, rispettoso dei principi stabiliti dallo Statuto, chiaro nei contenuti e trasparente nelle scelte, aperto alla società civile e ai suoi talenti, pronto a confrontarsi con gli amministratori locali, capace di formare una classe dirigente, promotore del merito a tutti i livelli.
Da tempo chiediamo un congresso aperto al quale possano partecipare non solo gli iscritti, ma anche gli elettori e i simpatizzanti. Un congresso con regole semplici, chiare e trasparenti. Un congresso che diventi luogo di discussione e scelta per milioni di persone. In ogni caso ci sarà un solo modo per cambiare il Partito Democratico: entrarci.
Aderire in massa, partecipare al congresso da iscritti, per contribuire non solo con il voto ma con la partecipazione, vorremmo dire con la propria vita, con l'esempio; assai di più di quanto si possa fare se fossero "solo" primarie. Patrimonio di condivisione che non ci ha mai tradito.
Con questo appello chiediamo pertanto a tutti gli elettori del Partito Democratico, nessuno escluso, di iscriversi. Di farlo fin da oggi e di invitare altre persone a farlo. Questo consentirà di ampliare la base della nostra democrazia interna e di avere una leadership autorevole, riconosciuta e pienamente legittimata.
Iscriversi al Partito Democratico è semplice. Basta rivolgersi al circolo del proprio luogo di residenza, sottoscrivere l'adesione e ritirare la tessera. Ma c'è anche l'iscrizione on line, dal sito del Partito Democratico.
Ne vale la pena. Non per noi, non per chi sarà il prossimo segretario, ma per il Partito Democratico.
Che è un po' come dire per l'Italia.

Fabrizio Barca
Goffredo Bettini
Felice Casson
Pippo Civati
Laura Puppato
Debora Serracchiani

lunedì 5 agosto 2013

Documento politico per discussion​e interna al partito democratic​o


CI E' GIUNTA IN REDAZIONE LA SEGUENTE MAIL CON ALLEGATO CHE VOLENTIERI PUBBLICHIAMO
IL TEAM PDCHIAMPO.

" Buon giorno a tutti,
vi invio il documento che un gruppo di iscritti al PD della provincia ha redatto come spunto di riflessione sulla situazione attuale del Partito e sulle prospettive venture. Il testo,  già inoltrato al Segretario provinciale e ai vari coordinatori di Circolo della provincia, e sottoscritto da un centinaio di iscritti, non vuole essere, e non è, una tesi congressuale ma un contributo ed uno stimolo per tutti per analizzare la situazione del Partito vicentino ed anche oltre, perché in tutti i Circoli della nostra provincia sia nota la posizione dei firmatari, espressa per far sì che i temi contenuti nel documento siano oggetto di discussione democratica, fondamento dell’azione politica del nostro Partito.

Se interessati potete sottoscrivere anche voi il documento e promuoverne la discussione all’interno dei vostri circoli di appartenenza.

Auguro a tutti un buon fine settimana,


Filippo Crimì, Deputato del Partito Democratico.


  • PER UN VERO E VINCENTE PARTITO DEMOCRATICO, ANCHE A VICENZA
Ci avviciniamo al congresso del partito, che sarà finalmente un’occasione per definire una linea
politica chiara e delle regole di gestione e di azione del partito condivise.
Il congresso porterà inevitabilmente a caratterizzazioni, anche marcate, delle diverse linee politiche,
soprattutto in una fase come quella attuale, segnata dalla fatica di trovare un equilibrio tra le idealità
che ispirano il nostro partito e le esigenze di governare la fase gravissima di crisi che attraversiamo.
In tutto questo corriamo anche il rischio di non sapere affermare e affrontare, una volta di più, le
debolezze che caratterizzano l’azione del partito nei nostri territori.
Questo documento parte da queste esigenze, e quindi, al di là delle convinzioni personali - che
saranno espresse in totale libertà e onestà intellettuale negli ambiti deputati e in fase congressuale
da ciascuno dei promotori e firmatari - vuole proporre una riflessione serena sul futuro del Partito
Democratico nel nostro territorio (e nel paese), ritenendo in tal modo di interpretare un’esigenza
condivisa dalla generalità delle iscritte e degli iscritti, elettrici ed elettori del Partito Democratico del
territorio della provincia di Vicenza.
 

  •  UNO SGUARDO SU COSA DOVEVA ESSERE IL PARTITO DEMOCRATICO
La nascita del Partito Democratico è stata la maggiore, forse l’unica, idea politica innovativa degli
ultimi venti anni. Nelle intenzioni doveva rappresentare la sintesi delle culture politiche del
centrosinistra per dare vita ad un proposta che fosse in grado di alzare lo sguardo oltre l’orizzonte del
novecento.
Il sogno del PD partiva dalla consapevolezza che la società era cambiata e cambia in fretta, e che le
categorie del pensiero politico tradizionale, polarizzato nella classica divisione tra destra-sinistra, non
erano e non sono più in grado, da sole, di dare risposte utili alla comunità.
Inoltre, i partiti che diedero vita al PD muovevano dalla crescente consapevolezza di essere percepiti
come i partiti della conservazione, ottusamente prigionieri di schemi mentali inadeguati, con una
leadership immutabile ed autoreferenziale, divisa e rissosa. Tale consapevolezza divenne certezza
all’indomani del disarmante fallimento del secondo governo Prodi.
Il Partito Democratico doveva rappresentare uno scatto di reni, un atto di coraggio nel segno del
cambiamento, una proposta che - superato l’uso nostalgico della parola “Sinistra” - ne rielaborasse
con coraggio il contenuto in rapporto alle veloci trasformazioni della società, alle sue complessità, ai
suoi conflitti, ai nuovi deboli e alle esigenze del ceto produttivo.
In definitiva, un partito di sinistra capace di diventare forza maggioritaria e in grado di governare
anche con il consenso di nuovi elettori. 
 

  •  L’ERRORE PRINCIPALE DEL PARTITO DEMOCRATICO
Le vicende politiche della seconda repubblica hanno avuto come protagonisti:
* i partiti personalistici come Forza Italia, Lega, Italia dei Valori e, da ultimo il M5Stelle,
caratterizzati dalla totale identificazione nel leader, populisti e demagogici;
* i partiti tradizionali come i DS, il Partito Popolare, l’UDC, Alleanza Nazionale, ingessati nelle
ideologie del passato, incapaci di rinnovarsi;
* la galassia dei partitini dello zerovirgola, dei generali senza esercito eppure con a disposizione un
potere politico e di veto enorme e sproporzionato, in grado di condizionare l’azione di qualsiasi
governo.

Tre protagonismi responsabili del declino inarrestabile del nostro paese.
Questo è lo scenario in cui è nato il Partito Democratico, con davanti a sé le praterie del
cambiamento e, da ultimo, gli assist della dissoluzione e della delusione del governo Berlusconi.
Le statistiche e i giudizi degli osservatori internazionali da tempo descrivono il nostro paese come un
paese in declino: un paese fondato sul nepotismo, sul clientelismo, su un finto egualitarismo che
producono inefficienze, distorsioni della concorrenza, ingiustizia, discriminazioni tra generi e
generazioni. Un paese dove dominano l’incapacità di far emergere e valorizzare le competenze,
l’assenza di meritocrazia, le rendite di posizione, gli oligopoli che fissano prezzi e tariffe, l’evasione
fiscale diffusa. Un paese che non dà spazio ai giovani che guardano al futuro non più con speranza,
ma con disillusione, rassegnazione e anche con paura, che non credono più al merito, ma alla
raccomandazione. Di questa situazione sono responsabili tanto il clientelismo, mascherato da
liberalismo, quanto l’egualitarismo demagogico.
Il Partito Democratico paga oggi più di altri il fatto di non avere saputo proporre idee capaci di
interpretare il cambiamento richiesto dalla maggioranza del paese.
Se dunque la sconfitta del PD di Walter Veltroni era prevedibile e per certi versi comprensibile, lo
stesso non si può dire di quella delle elezioni del febbraio 2013, nelle quali il PD ha evidenziato tutta
la sua debolezza (annunciata, peraltro), che non solo non riesce a conquistare terreno al di fuori dei
propri tradizionali bacini elettorali, ma non recupera neppure il voto operaio e popolare, oggi in rotta
verso il Movimento 5 Stelle (e prima verso PDL e Lega).
I dati sono impietosi, soprattutto nella parte più produttiva del paese che doveva essere il vero banco
di prova.
Politiche 2013 in Veneto: 184.000 voti in meno rispetto al 2008 (da 817.000 a 633.000) nonostante
PDL e LEGA abbiano perso complessivamente 809.000 voti;
Politiche 2013 in Provincia di Vicenza: 32.725 voti in meno rispetto al 2008 (da 133.057 a 100.332)
nonostante PDL e LEGA abbiano perso 127.978 voti.
Il risultato delle amministrative ha restituito al PD solo in parte fiducia e credibilità, dovendo tale
risultato essere letto all’interno di un quadro di astensionismo molto oltre i livelli di guardia, che non
ha risparmiato neppure il PD, il quale ha registrato una ulteriore diffusa flessione dei voti rispetto alle
recenti elezioni politiche.

  •  LE CAUSE DELLA SCONFITTA E DELLA COSTANTE PERDITA DEL CONSENSO
La cause della sconfitta, rispetto alle primitive speranze suscitate dalla nascita del partito, sono
molteplici. Eccone alcune.
* Il PD non ha mai veramente dato l’idea di voler essere un progetto innovativo.
* In buona misura è rimasto la somma di partiti che lo avevano costituito.
* La leadership è rimasta immutata e sempre apparsa inamovibile.
* Le correnti, un tempo espressione di utile pluralismo, si sono moltiplicate e trasformate in
strumenti dediti a sfacciate spartizione degli incarichi e dei ruoli di potere.
* Il partito ha dimostrato una scoraggiante incapacità di elaborare proposte e soluzioni chiare,
condivise e riconoscibili (in campagna elettorale, quando si chiedeva all’uomo della strada se
conosceva le proposte in campo, del PDL sapeva che voleva abolire l’IMU; del M5S che voleva
tagliare i costi della politica; e del PD … poco o niente).
* Ha continuato ad usare un linguaggio stantio, incomprensibile, impopolare, inefficace.
* Non è riuscito e non riesce parlare al cuore delle persone, appare un partito privo di carica
emotiva.

Impossibile, dunque, con questi presupposti, pretendere che il PD fosse quello che prometteva di
essere.

  •  IL PARTITO DEMOCRATICO CHE VOGLIAMO
Vogliamo un Partito Democratico accogliente, che non abbia pregiudizi ideologici, che non sia così
presuntuoso da assegnare patenti di appartenenza.
Vogliamo un Partito Democratico utile alla nostra società, che non anteponga le carriere politiche
individuali alla funzione di servizio collettivo e che quindi selezioni la propria classe politica e
dirigente sulla base di qualità, competenze e talento.
Vogliamo un Partito Democratico aperto agli iscritti e alle iscritte, ai simpatizzanti e alle
simpatizzanti, ai cittadini e alle cittadine che, quando necessario, sappia e voglia organizzare primarie
vere e trasparenti.
Vogliamo un Partito Democratico vero dentro e concreto fuori.
Vogliamo un Partito Democratico che sia il luogo della giustizia e del servizio.
E pertanto è assolutamente necessario e non più rinviabile:
§ Strutturare un percorso innovativo nei metodi di lavoro e nella proposta di coinvolgimento di tutti
i possibili interlocutori.
§ Costruire un ambito di integrazione delle risorse presenti nel territorio, superando le
frammentazioni, pur nel rispetto delle specificità, valorizzare le persone del Pd o vicine, degli
amministratori dei territori, non indiscriminatamente, ma in base alle competenze.
§ Creare le premesse per uno stile di lavoro condiviso, al di là delle diverse aree di operatività e
appartenenze a gruppi identitari, cordate elettorali, correnti che gestiscono potere nel partito e
nel territorio: svecchiare i riti autoreferenziali di direzioni e di assemblee chiamate, nei fatti, solo a
ratificare le decisioni del ceto dirigente oligarchico, dare sostanza vera al confronto politico e
programmatico attraverso una leadership che sia espressione chiara di una linea politica
riconoscibile e non ondivaga a seconda delle convenienze, del “ se, ma anche”, di patti stretti nell’
interesse di pochi.
§ Essere strumento per sviluppare la capacità di "ascolto" dei segnali che provengono dalla realtà
veneta, favorendo l'abilità di decodificare le domande politico-sociali provenienti dal territorio; il
che significa dotare i circoli e gli amministratori di analisi e riflessioni capaci di leggere il contesto
in modo serio, autorevole, utile all’ attivazione delle politiche nel territorio veneto.
E ancora:
§ valorizzare le risorse esistenti nel territorio;
§ sollecitare la collaborazione territoriale tra i circoli;
§ sensibilizzare la collettività sulle tematica politiche;
§ attivare risorse ideative e creative per incidere culturalmente e produrre un cambiamento nel
modo di vivere e stare nel partito (non solo gazebo, ma compartecipazione consapevole alle
scelte);
§ considerare il bisogno di sviluppo di un’identità “forte”, tale da consentire al PD veneto di essere
protagonista degli scenari politici futuri promuovendo la ricerca di autonomia e riconoscimento di
tutte le specificità in un clima cooperativo e non antagonista;
§ acquisire uno stile di lavoro comune, efficiente, di qualità, adeguato alla realtà che è fortemente
connotata dal cambiamento in tutti i campi e che stride con i riti obsoleti di una certa politica e
maggiormente legato ai bisogni dei territori;

§ promuovere aggregazione a partire da una comune esperienza;
§ elaborare strategie relazionali consone a sviluppare la capacità di individuazione di soluzione di
situazioni problematiche.

  • IL PARTITO DEMOCRATICO A VICENZA
In questo contesto è inoltre necessario fare scelte propriamente finalizzate ad un rafforzamento
dell’organizzazione e dell’azione politica del Partito democratico della provincia di Vicenza.
Di conseguenza ci impegniamo fin d’ora ad adottare quanto di seguito indicato come parte
integrante e fondamentale delle diverse mozioni o dei diversi programmi a cui chi condivide questo
documento aderirà a seconda delle proprie convinzioni personali nella prossima tornata
congressuale, e ad esporlo nelle assemblee di circolo, cittadine e provinciali e in ogni possibile
contesto.
  Tornare (o entrare, definitivamente) in sintonia con il mondo produttivo del nord-est
I risultati elettorali delle politiche 2013 hanno dimostrato ancora una volta, se non l’ostilità,
quantomeno il pregiudizio fortissimo che il mondo produttivo del nostro territorio nutre nei
confronti del Partito democratico.
Questa cosa è ancora più grave alla luce dei definitivamente conclamati (nel corso della legislatura
precedente e pure manifestatisi in queste elezioni) fallimenti, politici e anche morali, del leghismo e
della destra berlusconiana al governo. Piuttosto che votare Partito democratico una larga parte del
ceto produttivo ha scelto Monti, o Fare per fermare il declino, o in massa il Movimento 5 Stelle.
E non è stato dovuto unicamente all’alleanza politica del Partito democratico con Sinistra ecologia e
libertà. È qualcosa di più; legata al fatto che, pur essendo seriamente oggetto dei nostri programmi
politici e elettorali, ci sono alcune cose che non diciamo con abbastanza chiarezza e convinzione:
soprattutto che le tasse sono troppo alte, e che a ciò corrisponde un livello di spesa pubblica
eccessiva (e ciò non in quanto spesa pubblica in sé, ma in quanto – e nella misura in cui – è spesa
pubblica improduttiva); che produrre beni e servizi è reso difficile da adempimenti burocratici arcaici
e asfissianti, che bloccano l’economia senza spesso nemmeno perseguire gli obiettivi di tutela di beni
e interessi pubblici a cui dovrebbero essere preposti; che il sistema giudiziario non tutela; che la
pubblica amministrazione in generale presenta ancora sacche di inefficienza e situazioni di
ingiustificato privilegio e mancanza di assunzione di responsabilità.
Per questo riteniamo e proponiamo che, accanto ai temi irrinunciabili della sua azione politica:
- il diritto fondamentale al lavoro (inteso in tutte le sue forme: dipendente, autonomo,
professionista, stagionale, intellettuale…);
- i diritti sociali e le pari opportunità di genere e generazione (da sostenere con leggi e politiche
attive a livello regionale e comunale, presupposto indispensabile per lo sviluppo economico e
sociale e culturale del Veneto);
- il diritto alla salute e all'assistenza (in una realtà sociale nella quale l'invecchiamento della
popolazione richiede crescenti risorse per far fronte ai bisogni di salute e di assistenza della
medesima);
- la promozione del merito nella formazione, nei sistemi d’istruzione, nelle università, nella ricerca;
- la cultura, i beni e il patrimonio artistico, architettonico e paesaggistico;
il Partito Democratico di Vicenza:

- consideri essenziale, per rinnovare le capacità di crescita economica e sociale, del Veneto e
dell’Italia, che le istituzioni orientino prioritariamente la propria azione ad agevolare le condizioni
di competitività delle nostre imprese e in generale del nostro settore produttivo. A tal fine il
Partito democratico di Vicenza orienti la propria azione politica, con specifici programmi e
iniziative;
- si attivi per coniugare sviluppo e sostenibilità (economica, ambientale, sociale) assumendosi con
chiarezza la responsabilità da protagonista di intervenire nelle grandi scelte infrastrutturali che
modificheranno in modo irreversibile l'ambiente in cui viviamo, a partire dagli investimenti su
sistemi di mobilità alternativi a quelli attuali.
   Primarie vere e aperte per recuperare credibilità nella società civile e il sostegno, la
legittimazione e lo slancio di tutte le democratiche e i democratici vicentini
Le primarie parlamentari del 30 dicembre 2012 hanno finito per essere un’interruzione nel processo
di crescita civile che il Partito democratico ha imposto adottando le primarie come metodo.
Pur avendo a che fare con la sconcezza del porcellum (e anzi proprio per questo) e con tempistiche
elettorali ristrette, non è stato corretto comprimere la procedura in pochissimi giorni e non ha avuto
giustificazione che le regole adottate a livello nazionale abbiamo limitato l’elettorato passivo (cioè i
requisiti di candidabilità) e l’elettorato attivo (cioè la legittimazione a votare) rispetto a quanto
previsto nei documenti statutari. Le elettrici e gli elettori del Partito democratico, e l’opinione
pubblica in generale (che comunque ci guarda), hanno avuto la sensazione di un partito che teme di
aprirsi ad una competizione vera.
Il Partito democratico Veneto, peraltro, nell’accettare tali limitazioni ha omesso di applicare le
proprie regole Statutarie (art 2, commi 3 e 4, art. 9, commi 3 e 9).
E ancora, non è stata corretta la gestione della fase della raccolta delle firme degli iscritti e iscritte
per partecipare alle primarie, come non è stato corretto che non sia stata data la possibilità a tutti i
candidati di accedere in condizioni di parità alle liste dei partecipanti alle primarie “Italia bene
comune”.
Dal punto di vista politico va aggiunto che il Partito democratico vicentino (come in generale quello
veneto, peraltro) non ha operato in modo da candidare alle primarie e, comunque, per proporre
nelle liste per le politiche (l’unica cosa positiva che il porcellum avrebbe al limite consentito) anche
personalità di spicco della società civile, di cui la provincia di Vicenza e il Veneto fortunatamente non
mancano.
Tutto questo toglie sostegno e legittimazione popolare, credibilità e slancio all’azione politica del
Partito democratico di Vicenza e del Veneto.
Per questo riteniamo e proponiamo che:
- Il Partito democratico di Vicenza consideri che le primarie debbano essere una procedura ampia,
aperta e trasparente.
- Le primarie siano sempre aperte a tutte le elettrici e elettori del Partito, e quindi, nel rispetto
dell’articolo 2 dello Statuto del Partito democratico Veneto, a tutti coloro che accettino di essere
registrati pubblicamente come elettrici e elettori.
- Le primarie si svolgano sempre e in ogni caso con una tempistica adeguata a permettere la
presentazione nei circoli e in assemblee pubbliche delle candidate e dei candidati e con modalità
e tempistiche che permettano a tutte le candidate e i candidati di presentare le proprie idee e
proposte, i propri programmi, mozioni, ecc … nei circoli e in assemblee pubbliche.
- A tutti gli iscritti e le iscritte, e laddove previsto a tutti gli elettori e elettrici, siano assicurate pari
condizioni nell’accesso alle informazioni necessarie a presentare la candidatura e pari condizioni
nel presentare la candidatura.
- A tutte le candidate e a tutti i candidati siano assicurate pari condizioni nell’accesso alle
informazioni utili alle primarie (ivi compresi, a titolo di esempio, gli elenchi pubblici delle elettrici
e degli elettori). A tutte le candidate e a tutti i candidati sono assicurate reali condizioni di parità
nella partecipazione alle primarie.
Primi sottoscrittori del documento
...

venerdì 19 luglio 2013

F35, giustizia e Kazakistan, è l’umiliazione dello Stato

 
Parla Zagrebelsky: “F35, giustizia e Kazakistan, è l’umiliazione dello Stato” 
 da IL FATTO QUOTIDIANO
Intervista al presidente emerito della Corte costituzionale, secondo cui nel nostro Paese "grave un 'non detto' che spiegherebbe molte cose": "Si fa finta di vivere nella normalità della vita democratica, ma non è così. Su tutto domina la difesa dello status quo, in questa maniera la democrazia muore"
di

Professore, negli ultimi tempi abbiamo assistito a numerosi episodi di natura politica e costituzionale che hanno suscitato discussioni e polemiche. Lei che ne pensa?
Prima che dagli episodi, iniziamo da un dubbio, da un interrogativo di portata generale, di cui vorremmo non si dovesse parlare. E, invece, dobbiamo.

Cosa intende?
Una cosa angosciante. Si tratta solo di singoli episodi, oppure di manifestazioni di qualcosa di più profondo, che non riusciamo a vedere e definire con chiarezza, ma avvertiamo come incombente e minaccioso? Qualcosa in cui quelli che altrimenti sarebbero appunto solo episodi isolati, assumono un significato comune. Li dobbiamo trattare isolatamente o come sintomi d’un generale e pericoloso malessere?

Dica lei.
Guardi: può darsi ch’io pecchi in pessimismo. Mi sembra che sulla vita politica, nel nostro Paese, in questo momento, gravi un “non detto” che spiegherebbe molte cose. Si fa finta di vivere nella normalità della vita democratica, ma non è così. È come se una rete invisibile avvolgesse le istituzioni politiche fossilizzandole; imponesse agli attori politici azioni e omissioni altrimenti assurdi e inspiegabili; mirasse a impedire che qualunque cosa nuova avvenga. Questa è stasi, situazione pericolosa. Se qualche episodio, anche grave o gravissimo, sfugge alla rete, l’imperativo è sopire, normalizzare. Ciò che accade sulla scena politica sembra una messinscena. Ci si agita per nulla concludere. Ma la democrazia, così, muore. Lo spettacolo cui assistiamo sembra un gioco delle parti, oltretutto di livello infimo. Il numero degli appassionati sta diminuendo velocemente. L’umore è sempre più cupo. Bastava guardare i volti e udire il tono di alcuni che hanno preso la parola nel dibattito sulla vicenda della “rendition” kazaka. Sembravano tanti “cavalieri dalla trista figura”. Non si respirava il “fresco profumo della libertà”, di cui ha scritto ieri Barbara Spinelli. Né v’era traccia di quella “felicità” che è l’humus della democrazia, di cui abbiamo ragionato Ezio Mauro e io, in contrasto con l’atmosfera stagnante dei regimi del sospetto, dell’intrigo, della libertà negata.

Si riferisce alla maggioranza modello “larghe intese”?
Innanzitutto: è una maggioranza contro natura; contraria alle promesse elettorali e quindi democraticamente illegittima, anche se legale; che pretende di fare cose per le quali non ha ricevuto alcun mandato. Ricorderà che è stata formata pensando a poche e chiare misure da prendere insieme: governo “di scopo” (come se possa esistere un governo senza scopi!), “di servizio” (come se ci possa essere un governo per i fatti suoi!) e, poi, “di necessità”. Ora, sembra un governo marmorizzato il cui scopo necessario sia durare, irretito in un gioco più grande di lui. La riforma elettorale, bando alle ciance, non si fa, perché in fondo, oltre che essere nell’interesse di molti, nel frattempo, con l’attuale, non si può tornare a votare. Perfino l’abnorme procedimento di revisione della Costituzione è stato pensato a questo scopo, come si ammette anche da diversi “saggi” che pur si sono lasciati coinvolgere. E, in attesa che la si cambi, la si viola.

Così arriviamo agli episodi. Il caso F-35?
Incominciamo da qui. Il Parlamento è stato esautorato quando il Consiglio supremo di difesa ha scritto che i “provvedimenti tecnici e le decisioni operative, per loro natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo”, sottintendendo: “responsabilità esclusive”. Chissà chi sono i consulenti giuridici che hanno avallato queste affermazioni, che svuotano i compiti del Parlamento in materia di sicurezza e politica estera? Un regresso di due secoli, a quando tali questioni erano prerogativa regia. Del resto, lei sa che cosa è questo Consiglio? Qualcuno si è ricordato che la sua natura è stata definita nel 1988 da una relazione della Commissione presieduta da un grande giurista, Livio Paladin, istituita dal presidente Cossiga per fare chiarezza su un organo ambiguo (ministri, generali, presidente della Repubblica)? Fu chiarito allora che si tratta di un organo di consulenza e informazione del presidente, senza poteri di direttiva. D’altra parte, chi stabilisce se certi provvedimenti e certe decisioni sono solo tecniche e operative, e non hanno carattere politico? I sistemi d’arma, l’uso di certi mezzi o di altri non sono questioni politiche? Chi decide? Il Parlamento, in un regime parlamentare. Forse che si sia entrati in un altro regime?

L’affaire kazako è una “brutta figura internazionale” o una violazione dei diritti umani?
Una cosa e l’altra. Ma non solo: è l’umiliazione dello Stato. Ammettiamo che nessun ministro ne sapesse qualcosa. Sarebbe per questo meno grave? Lo sarebbe perfino di più. Vorrebbe dire che le istituzioni non controllano quello che accade nel retrobottega e che il nostro Paese è terreno di scorribande di apparati dello Stato collusi con altri apparati, come già avvenuto nel caso simile di Abu Omar, rapito dai “servizi” americani con la collaborazione di quelli italiani e trasportato in Egitto: un caso in cui s’è fatta valere pesantemente la “ragion di Stato”. Non basta, in questi casi, la responsabilità dei funzionari. L’art. 95 della Carta dice che i ministri, ciascuno personalmente, portano la responsabilità degli atti dei loro dicasteri. Se, sotto di loro, si formano gruppi che agiscono in segreto, per conto loro o in combutta con poteri estranei o stranieri, il ministro non risponderà penalmente di quello che gli passa sotto il naso senza che se ne accorga. Ma politicamente ne è pienamente responsabile. Troppo comodo il “non sapevo”. Chi ci governa, per prima cosa, “deve sapere”. Se no, dove va a finire la nostra sovranità? Chi, dovendola difendere, in questa circostanza, non l’ha difesa?

Che dire del blocco del Parlamento decretato per protesta contro l’Autorità giudiziaria?
Che, anche questa, come la manifestazione di decine di parlamentari scalpitanti dentro e fuori il Tribunale di Milano, è una vicenda inconcepibile. Altrettanto inconcepibile è che l’una e l’altra non siano state oggetto di puntuale e precisa condanna. Anche qui: ammettiamo per carità di Patria che l’una sia stata una normale sospensione tecnica e l’altra una visita guidata a un palazzo pubblico. Non basta, però, averli “derubricati”, per poter dire che non è successo nulla. La questione è che non s’è detto autorevolmente che l’intento e i mezzi immaginati sono, sempre e comunque, inammissibili perché contro lo Stato di diritto.

C’è una logica che spiega i singoli episodi?
Potrei sbagliare, ma a me pare che su tutto domini la difesa dello status quo e del governo che lo garantisce. In stato di necessità, si passa sopra a tutto il resto. L’impressione, poi, è che in quella rete invisibile di connivenze, di cui parlavo all’inizio, si finisca per attribuire a un partito e al suo leader un plusvalore che non corrisponde al loro consenso elettorale e alla rappresentanza in Parlamento. Come se toccarne gli interessi possa determinare una catastrofe generale. Sembra che tutti siano utili, ma qualcuno sia necessario e, per questo, si debbano tollerare da lui cose che, altrimenti, sarebbero intollerabili.

Così si è corrivi nei confronti di una parte politica, anche se c’è di mezzo la Costituzione. A chi spetta difenderla?
In democrazia, a tutti i cittadini, che nella Costituzione si riconoscono. Poi, a chi occupa posti nelle istituzioni, subordinatamente a un giuramento di fedeltà. Infine, salendo più su, a colui che ricopre il ruolo comprensivamente detto di “garante della Costituzione”, il presidente della Repubblica.

La squadra

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