La fiducia patacca di Fini
di Alessandro Sallusti (Il Giornale)La fiducia c’è ma si andrà a votare perché la maggioranza numerica non corrisponde a quella politica. Il «sì» al discorso di Berlusconi votato dal gruppo dei finiani è infatti una patacca, uno stratagemma per prendere ancora un po’ di tempo prima di pugnalare alle spalle la maggioranza. Poco tempo, quello necessario per trasformare il gruppo parlamentare in un partito. Il primo passo è già stato fissato per martedì prossimo. Questa è la sintesi di quanto è accaduto ieri alla Camera dove il governo ha superato l’ostacolo solo grazie ai voti dei finiani ( e del governatore siciliano Lombardo). Ovvio che da oggi Pdl e Lega da soli non hanno i numeri per garantire che la legislatura vada avanti secondo i patti stabiliti con gli elettori.
Berlusconi ha fatto un ultimo tentativo, violentando la propria indole battagliera, forse un’ultima concessione al gruppo delle colombe che lo circonda. Ha parlato con tono pacato di senso di responsabilità, ha spiegato la necessità di andare avanti, ha elencato le non poche cose fatte, ha prospettato quelle da fare. Su quest’ultime è stato intransigente. Su quanto promesso agli italiani, ha detto, non si tratta, quindi «sì» senza condizioni alla riforma della giustizia (compresa la difesa della politica dagli attacchi della magistratura) e «sì» al federalismo subito. Cose inaccettabili per Fini, che nel rallentare ed annacquare entrambe le riforme vede un doppio grimaldello: far cadere per via extraparlamentare Berlusconi e far saltare il patto di ferro tra questi e Bossi. La manovra a tenaglia era e resta il piano inconfessabile del presidente della Camera, che in questo ha buoni alleati: magistrati e opposizione.
Che Fini non possa più essere il presidente della Camera, da ieri è evidente a tutti. L’aver permesso a Di Pietro, contro ogni buon senso e regolamento, di insultare il premier, il suo malcelato compiacimento per quell’aggressione fatta di ingiurie, sono solo il sintomo più evidente che non è più un arbitro imparziale. Non solo. Annunciare la nascita del nuovo partito senza contemporaneamente rimettere il mandato è l’ennesima furberia che stride con la richiesta di etica e lealtà politica sbandierata dal Fli. Certo, se la legislatura dovesse proseguire, Fini, come abbiamo scritto ieri, difficilmente potrebbe restare al suo posto. Ma con l’avvicinarsi delle elezioni il calcolo cambia. E diventa: resto, così mi faccio pagare la campagna elettorale dalla Camera invece che dal partito, e sfrutto la carica istituzionale per una visibilità che altrimenti non avrei.
Un partito di imbroglioni, insomma, che dice di voler rimanere nella maggioranza ma non ha speso una parola contro Di Pietro, che vota una fiducia nella quale non crede, che per quindici anni ha condiviso con entusiasmo ed enormi vantaggi scelte e strategie di Berlusconi e che ora scarica tutti i problemi su di lui, come se fosse stato da sempre all’opposizione o sulla Luna.
Maroni ha tirato le somme della giornata: si va a votare tra marzo e aprile. Credo che abbia ragione e che sia meglio così. Gli elettori capiranno chi ha tradito e perché.
Un sì avvelenato
di Franco Massimo (Il Corriere della Sera)Aveva chiesto «un sì o un no» ed ha ottenuto una risposta formalmente, solo formalmente, positiva. In realtà, il governo ha ricevuto un viatico gonfio di insidie. Silvio Berlusconi non ha più una maggioranza autonoma. Dipende dall'appoggio degli odiati finiani e dalla pattuglia di Raffaele Lombardo, che risponde a logiche siciliane, slegate da quelle del Pdl. E Umberto Bossi già addita le elezioni anticipate come «la strada maestra». La cautela meritoria usata da Berlusconi nel suo discorso dimostra che il presidente del Consiglio non solo non le vuole ma le teme. I 342 «sì» a favore del governo, però, avvicinano pericolosamente la fine della legislatura.
Viene sancita la sconfitta della linea muscolare perseguita negli ultimi mesi da Palazzo Chigi; e la rivincita, almeno in Parlamento, dei «ribelli» di Gianfranco Fini. L'ombra pesante del contrasto col presidente della Camera era stata rimossa da Berlusconi, con un fugace accenno al «passo indietro» provocato dalla creazione della corrente Futuro e Libertà. Ma l'annuncio in tempo reale della nascita del partito di Fini, e soprattutto il responso del voto di fiducia, l'hanno riallungata su tutta la coalizione. L'atteggiamento della Lega chiude il cerchio. Conferma il profilo del Carroccio come vero azionista di riferimento della maggioranza; ed avanguardia del «partito delle elezioni».
È il paradosso di un Fini che pensando di contrastare l'«asse del Nord» ha rafforzato i lumbard. Era prevedibile. Le cose sono andate così avanti, che l'istinto autolesionistico del Pdl rischia di sovrastare la lucidità politica e gli interessi del Paese. I rancori viscerali fra il premier e il presidente della Camera, e le pressioni per far dimettere il cofondatore del Pdl dal vertice di Montecitorio sono stati tappe di una guerriglia sfibrante. E in Parlamento la stanchezza e le tensioni represse a fatica erano palpabili.
La fiducia avvelenata
di Ezio Mauro (La Repubblica) DOPO due mesi di esibizione muscolare virtuale, cacciando i finiani, invocando le elezioni immediate, annunciando l'autosufficienza della maggioranza, alla resa dei conti Silvio Berlusconi ieri ha dovuto prendere atto che non ha i voti senza Fini, che la compravendita dei deputati non è bastata, che le elezioni lo spaventano. Ha chiesto i voti ai suoi nemici mortali, ha evitato ogni polemica, ha dribblato tutte le asperità, volando basso. Pur di galleggiare, tirando a campare come un doroteo, fingendo davanti a se stesso e al Paese che dopo la spaccatura del Pdl tutto sia come prima. E invece tutto è cambiato, tanto che il Premier rimane in sella ma in un paesaggio politico completamente diverso: con Fini che vara il suo nuovo partito e si allea con Lombardo, moltiplicando fino a quattro i gruppi di maggioranza, che volevano essere due - Pdl e Lega -, senza bisogno di spartire con altri. Così, potremmo dire che ieri è nato il Berlusconi-bis, perché a numeri intatti la forza elettorale si è trasformata due anni dopo in debolezza patente della leadership.
Il Presidente del Consiglio non è stato capace di accettare la sfida politica che lo tormenta, e invece di saltare l'asticella alzata davanti al suo cammino dai finiani ha preferito passarci sotto, scegliendo il basso profilo, la dissimulazione, la finzione.
Soprattutto, non ha voluto o non ha potuto portarsi all'altezza della cornice drammatica di una crisi conclamata e irreversibile nella sostanza politica, anche se rattoppata temporaneamente nei numeri. La frattura radicale della destra, di cui vediamo solo i primi effetti, manca ancora di una lettura ufficiale e di un interprete responsabile. Il Paese ne ha diritto. Si possono ingannare i telespettatori del tg1 e del tg5, com'è abitudine, ma non si può ingannare la politica, che da ieri assedia Berlusconi con una maggioranza posticcia e instabile, costruita com'è su alleati-rivali, impastata di ricatti, dossier, intimidazioni e paure.
È la strategia del dominio, la mitologia della sovranità assoluta che vanno in pezzi con la fiducia avvelenata di ieri. Berlusconi ha bisogno del salvacondotto, e dunque dei voti di un avversario che prova ad uccidere politicamente e mediaticamente ogni giorno, e che da parte sua lavora non più nel lungo termine, ma nel medio, per far saltare tutto l'equilibrio berlusconiano del comando, costruito per sedici anni. L'esito di questo conflitto sarà politicamente mortale. Con la fiducia, Fini salda un patto con gli elettori (non più col Premier e con il Pdl), e guadagna tempo per costruire il partito che ha annunciato ieri. Berlusconi può fingere di guardare ai numeri e non alla rottura irrimediabile del suo partito, alla crisi plateale dell'ipotesi di autosufficienza dell'asse tra il Premier e Bossi. Dove lo portano dunque quei numeri? Verso quale approdo politico? Per quale progetto? Con quali alleati?
La realtà è che non si è rotta soltanto la macchina politica del '94, ma anche la costruzione ideologica che ha interpretato l'Italia - salvo brevi parentesi - per sedici anni. La svolta è dunque enorme, e noi vediamo oggi solo il primo atto. La propaganda compilativa in cui si è rifugiato ieri il Premier non può nascondere la realtà. Diciamolo chiaramente: a luglio, con la cacciata di Fini, è finito il Pdl. Ieri, con questa fiducia malata, è finito addirittura il quadro politico di centrodestra così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi: con un signore e padrone assoluto retrocesso a capo di un quadripartito ostile e minaccioso, come all'epoca del peggior Caf, nell'agonia della prima repubblica.
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