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Chi dorme non piglia pesci: se non ti occupi della politica, la politica, o prima o poi si occuperà di te...

giovedì 30 settembre 2010

Fiducia sì, fiducia no...

La fiducia patacca di Fini

di Alessandro Sallusti (Il Giornale)

La fiducia c’è ma si an­drà a votare perché la maggioranza nu­merica non corri­sponde a quella politica. Il «sì» al discorso di Berlusco­ni votato dal gruppo dei fi­niani è infatti una patacca, uno stratagemma per prendere ancora un po’ di tempo prima di pugnalare alle spalle la maggioran­za. Poco tempo, quello ne­cessario per trasformare il gruppo parlamentare in un partito. Il primo passo è già stato fissato per mar­tedì prossimo. Questa è la sintesi di quanto è accadu­to ieri alla Camera dove il governo ha superato l’ostacolo solo grazie ai vo­ti dei finiani ( e del governa­tore siciliano Lombardo). Ovvio che da oggi Pdl e Le­ga da soli non hanno i nu­meri per garantire che la le­gislatura vada avanti se­condo i patti stabiliti con gli elettori.

Berlusconi ha fatto un ul­timo tentativo, violentan­do la propria indole batta­gliera, forse un’ultima con­cessione al gruppo delle colombe che lo circonda. Ha parlato con tono paca­to di senso di responsabili­tà, ha spiegato la necessità di andare avanti, ha elen­cato le non poche cose fat­te, ha prospettato quelle da fare. Su quest’ultime è stato intransigente. Su quanto promesso agli ita­liani, ha detto, non si trat­ta, quindi «sì» senza condi­zi­oni alla riforma della giu­stizia (compresa la difesa della politica dagli attac­chi della magistratura) e «sì» al federalismo subito. Cose inaccettabili per Fi­ni, che nel rallentare ed an­nacquare entrambe le ri­forme vede un doppio gri­maldello: far cadere per via extraparlamentare Ber­lusconi e far saltare il patto di ferro tra questi e Bossi. La manovra a tenaglia era e resta il piano inconfessa­bile del presidente della Camera, che in questo ha buoni alleati: magistrati e opposizione.

Che Fini non possa più essere il presidente della Camera, da ieri è evidente a tutti. L’aver permesso a Di Pietro, contro ogni buon senso e regolamen­to, di insultare il premier, il suo malcelato compiaci­m­ento per quell’aggressio­ne fatta di ingiurie, sono solo il sintomo più eviden­te che non è più un arbitro imparziale. Non solo. An­nunciare la nascita del nuovo partito senza con­temporaneamente rimet­tere il mandato è l’ennesi­ma furberia che stride con la richiesta di etica e lealtà politica sbandierata dal Fli. Certo, se la legislatura dovesse proseguire, Fini, come abbiamo scritto ieri, difficilmente potrebbe re­stare al suo posto. Ma con l’avvicinarsi delle elezioni il calcolo cambia. E diven­ta: resto, così mi faccio pa­g­are la campagna elettora­le dalla Camera invece che dal partito, e sfrutto la carica istituzionale per una visibilità che altrimen­ti non avrei.

Un partito di imbroglio­ni, insomma, che dice di voler rimanere nella mag­gioranza ma non ha speso una parola contro Di Pie­tro, che vota una fiducia nella quale non crede, che per quindici anni ha condi­viso con entusiasmo ed enormi vantaggi scelte e strategie di Berlusconi e che ora scarica tutti i pro­blemi su di lui, come se fos­se stato da sempre all’op­posizione o sulla Luna.

Maroni ha tirato le som­me della giornata: si va a votare tra marzo e aprile. Credo che abbia ragione e che sia meglio così. Gli elettori capiranno chi ha tradito e perché.

Un sì avvelenato

di Franco Massimo (Il Corriere della Sera)

Aveva chiesto «un sì o un no» ed ha ottenuto una risposta formalmente, solo formalmente, positiva. In realtà, il governo ha ricevuto un viatico gonfio di insidie. Silvio Berlusconi non ha più una maggioranza autonoma. Dipende dall'appoggio degli odiati finiani e dalla pattuglia di Raffaele Lombardo, che risponde a logiche siciliane, slegate da quelle del Pdl. E Umberto Bossi già addita le elezioni anticipate come «la strada maestra». La cautela meritoria usata da Berlusconi nel suo discorso dimostra che il presidente del Consiglio non solo non le vuole ma le teme. I 342 «sì» a favore del governo, però, avvicinano pericolosamente la fine della legislatura.

Viene sancita la sconfitta della linea muscolare perseguita negli ultimi mesi da Palazzo Chigi; e la rivincita, almeno in Parlamento, dei «ribelli» di Gianfranco Fini. L'ombra pesante del contrasto col presidente della Camera era stata rimossa da Berlusconi, con un fugace accenno al «passo indietro» provocato dalla creazione della corrente Futuro e Libertà. Ma l'annuncio in tempo reale della nascita del partito di Fini, e soprattutto il responso del voto di fiducia, l'hanno riallungata su tutta la coalizione. L'atteggiamento della Lega chiude il cerchio. Conferma il profilo del Carroccio come vero azionista di riferimento della maggioranza; ed avanguardia del «partito delle elezioni».

È il paradosso di un Fini che pensando di contrastare l'«asse del Nord» ha rafforzato i lumbard. Era prevedibile. Le cose sono andate così avanti, che l'istinto autolesionistico del Pdl rischia di sovrastare la lucidità politica e gli interessi del Paese. I rancori viscerali fra il premier e il presidente della Camera, e le pressioni per far dimettere il cofondatore del Pdl dal vertice di Montecitorio sono stati tappe di una guerriglia sfibrante. E in Parlamento la stanchezza e le tensioni represse a fatica erano palpabili.

Non è da escludersi che presto Fini si dimetta davvero: ma anche in quel caso sarà non tanto per motivi istituzionali, quanto per guidare meglio lo scontro contro il suo ex partito. Si tratta di uno sfondo di macerie, per il centrodestra. E non può bastare come consolazione un'opposizione percorsa da un malessere parallelo. A colpire, ed anche a sorprendere sono il tentativo apprezzabile di prendere coscienza dei pericoli di una situazione esasperata; e il difetto di autocritica per il brutto spettacolo offerto ultimamente. Ora la maggioranza vuole accreditare il momento della maturità e della consapevolezza; e la volontà di fermare una spirale capace di portare governo e legislatura sull'orlo del precipizio, senza offrire altro se non il vuoto. Aggrapparsi a questa eventualità è quasi obbligatorio: per il momento non esistono alternative alla coalizione berlusconiana. Ma senza rendersene conto, proprio il centrodestra negli ultimi tempi l'ha picconata: al punto che il premier ha ammesso una «lesione» fra gli alleati. Si capirà presto se esistono volontà e forza per curarla; oppure se sono scattate dinamiche tese ad aggravarla ed a renderla irreversibile.

La fiducia avvelenata

di Ezio Mauro (La Repubblica)

DOPO due mesi di esibizione muscolare virtuale, cacciando i finiani, invocando le elezioni immediate, annunciando l'autosufficienza della maggioranza, alla resa dei conti Silvio Berlusconi ieri ha dovuto prendere atto che non ha i voti senza Fini, che la compravendita dei deputati non è bastata, che le elezioni lo spaventano. Ha chiesto i voti ai suoi nemici mortali, ha evitato ogni polemica, ha dribblato tutte le asperità, volando basso. Pur di galleggiare, tirando a campare come un doroteo, fingendo davanti a se stesso e al Paese che dopo la spaccatura del Pdl tutto sia come prima. E invece tutto è cambiato, tanto che il Premier rimane in sella ma in un paesaggio politico completamente diverso: con Fini che vara il suo nuovo partito e si allea con Lombardo, moltiplicando fino a quattro i gruppi di maggioranza, che volevano essere due - Pdl e Lega -, senza bisogno di spartire con altri. Così, potremmo dire che ieri è nato il Berlusconi-bis, perché a numeri intatti la forza elettorale si è trasformata due anni dopo in debolezza patente della leadership.

Il Presidente del Consiglio non è stato capace di accettare la sfida politica che lo tormenta, e invece di saltare l'asticella alzata davanti al suo cammino dai finiani ha preferito passarci sotto, scegliendo il basso profilo, la dissimulazione, la finzione.

Soprattutto, non ha voluto o non ha potuto portarsi all'altezza della cornice drammatica di una crisi conclamata e irreversibile nella sostanza politica, anche se rattoppata temporaneamente nei numeri. La frattura radicale della destra, di cui vediamo solo i primi effetti, manca ancora di una lettura ufficiale e di un interprete responsabile. Il Paese ne ha diritto. Si possono ingannare i telespettatori del tg1 e del tg5, com'è abitudine, ma non si può ingannare la politica, che da ieri assedia Berlusconi con una maggioranza posticcia e instabile, costruita com'è su alleati-rivali, impastata di ricatti, dossier, intimidazioni e paure.

È la strategia del dominio, la mitologia della sovranità assoluta che vanno in pezzi con la fiducia avvelenata di ieri. Berlusconi ha bisogno del salvacondotto, e dunque dei voti di un avversario che prova ad uccidere politicamente e mediaticamente ogni giorno, e che da parte sua lavora non più nel lungo termine, ma nel medio, per far saltare tutto l'equilibrio berlusconiano del comando, costruito per sedici anni. L'esito di questo conflitto sarà politicamente mortale. Con la fiducia, Fini salda un patto con gli elettori (non più col Premier e con il Pdl), e guadagna tempo per costruire il partito che ha annunciato ieri. Berlusconi può fingere di guardare ai numeri e non alla rottura irrimediabile del suo partito, alla crisi plateale dell'ipotesi di autosufficienza dell'asse tra il Premier e Bossi. Dove lo portano dunque quei numeri? Verso quale approdo politico? Per quale progetto? Con quali alleati?

La realtà è che non si è rotta soltanto la macchina politica del '94, ma anche la costruzione ideologica che ha interpretato l'Italia - salvo brevi parentesi - per sedici anni. La svolta è dunque enorme, e noi vediamo oggi solo il primo atto. La propaganda compilativa in cui si è rifugiato ieri il Premier non può nascondere la realtà. Diciamolo chiaramente: a luglio, con la cacciata di Fini, è finito il Pdl. Ieri, con questa fiducia malata, è finito addirittura il quadro politico di centrodestra così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi: con un signore e padrone assoluto retrocesso a capo di un quadripartito ostile e minaccioso, come all'epoca del peggior Caf, nell'agonia della prima repubblica.


Video della replica della presidente dell'Assemblea nazionale del Partito Democratico al discorso del presidente del Consiglio alla Camera.


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