Parla Zagrebelsky: “F35, giustizia e Kazakistan, è l’umiliazione dello Stato”
da
IL FATTO QUOTIDIANO
Intervista
al presidente emerito della Corte costituzionale, secondo cui nel
nostro Paese "grave un 'non detto' che spiegherebbe molte cose": "Si fa
finta di vivere nella normalità della vita democratica, ma non è così.
Su tutto domina la difesa dello status quo, in questa maniera la
democrazia muore"
di Silvia Truzzi
Professore, negli ultimi tempi abbiamo assistito a numerosi
episodi di natura politica e costituzionale che hanno suscitato
discussioni e polemiche. Lei che ne pensa?
Prima che dagli
episodi, iniziamo da un dubbio, da un interrogativo di portata generale,
di cui vorremmo non si dovesse parlare. E, invece, dobbiamo.
Cosa intende?
Una
cosa angosciante. Si tratta solo di singoli episodi, oppure di
manifestazioni di qualcosa di più profondo, che non riusciamo a vedere e
definire con chiarezza, ma avvertiamo come incombente e minaccioso?
Qualcosa in cui quelli che altrimenti sarebbero appunto solo episodi
isolati, assumono un significato comune. Li dobbiamo trattare
isolatamente o come sintomi d’un generale e pericoloso malessere?
Dica lei.
Guardi:
può darsi ch’io pecchi in pessimismo. Mi sembra che sulla vita
politica, nel nostro Paese, in questo momento, gravi un “non detto” che
spiegherebbe molte cose. Si fa finta di vivere nella normalità della
vita democratica, ma non è così. È come se una rete invisibile
avvolgesse le istituzioni politiche fossilizzandole; imponesse agli
attori politici azioni e omissioni altrimenti assurdi e inspiegabili;
mirasse a impedire che qualunque cosa nuova avvenga. Questa è stasi,
situazione pericolosa. Se qualche episodio, anche grave o gravissimo,
sfugge alla rete, l’imperativo è sopire, normalizzare. Ciò che accade
sulla scena politica sembra una messinscena. Ci si agita per nulla
concludere. Ma la democrazia, così, muore. Lo spettacolo cui assistiamo
sembra un gioco delle parti, oltretutto di livello infimo. Il numero
degli appassionati sta diminuendo velocemente. L’umore è sempre più
cupo. Bastava guardare i volti e udire il tono di alcuni che hanno preso
la parola nel dibattito sulla vicenda della “rendition” kazaka.
Sembravano tanti “cavalieri dalla trista figura”. Non si respirava il
“fresco profumo della libertà”, di cui ha scritto ieri Barbara Spinelli.
Né v’era traccia di quella “felicità” che è l’humus della democrazia,
di cui abbiamo ragionato Ezio Mauro e io, in contrasto con l’atmosfera
stagnante dei regimi del sospetto, dell’intrigo, della libertà negata.
Si riferisce alla maggioranza modello “larghe intese”?
Innanzitutto:
è una maggioranza contro natura; contraria alle promesse elettorali e
quindi democraticamente illegittima, anche se legale; che pretende di
fare cose per le quali non ha ricevuto alcun mandato. Ricorderà che è
stata formata pensando a poche e chiare misure da prendere insieme:
governo “di scopo” (come se possa esistere un governo senza scopi!), “di
servizio” (come se ci possa essere un governo per i fatti suoi!) e,
poi, “di necessità”. Ora, sembra un governo marmorizzato il cui scopo
necessario sia durare, irretito in un gioco più grande di lui. La
riforma elettorale, bando alle ciance, non si fa, perché in fondo, oltre
che essere nell’interesse di molti, nel frattempo, con l’attuale, non
si può tornare a votare. Perfino l’abnorme procedimento di revisione
della Costituzione è stato pensato a questo scopo, come si ammette anche
da diversi “saggi” che pur si sono lasciati coinvolgere. E, in attesa
che la si cambi, la si viola.
Così arriviamo agli episodi. Il caso F-35?
Incominciamo
da qui. Il Parlamento è stato esautorato quando il Consiglio supremo di
difesa ha scritto che i “provvedimenti tecnici e le decisioni
operative, per loro natura, rientrano tra le responsabilità
costituzionali dell’esecutivo”, sottintendendo: “responsabilità
esclusive”. Chissà chi sono i consulenti giuridici che hanno avallato
queste affermazioni, che svuotano i compiti del Parlamento in materia di
sicurezza e politica estera? Un regresso di due secoli, a quando tali
questioni erano prerogativa regia. Del resto, lei sa che cosa è questo
Consiglio? Qualcuno si è ricordato che la sua natura è stata definita
nel 1988 da una relazione della Commissione presieduta da un grande
giurista, Livio Paladin, istituita dal presidente Cossiga per fare
chiarezza su un organo ambiguo (ministri, generali, presidente della
Repubblica)? Fu chiarito allora che si tratta di un organo di consulenza
e informazione del presidente, senza poteri di direttiva. D’altra
parte, chi stabilisce se certi provvedimenti e certe decisioni sono solo
tecniche e operative, e non hanno carattere politico? I sistemi d’arma,
l’uso di certi mezzi o di altri non sono questioni politiche? Chi
decide? Il Parlamento, in un regime parlamentare. Forse che si sia
entrati in un altro regime?
L’affaire kazako è una “brutta figura internazionale” o una violazione dei diritti umani?
Una
cosa e l’altra. Ma non solo: è l’umiliazione dello Stato. Ammettiamo
che nessun ministro ne sapesse qualcosa. Sarebbe per questo meno grave?
Lo sarebbe perfino di più. Vorrebbe dire che le istituzioni non
controllano quello che accade nel retrobottega e che il nostro Paese è
terreno di scorribande di apparati dello Stato collusi con altri
apparati, come già avvenuto nel caso simile di Abu Omar, rapito dai
“servizi” americani con la collaborazione di quelli italiani e
trasportato in Egitto: un caso in cui s’è fatta valere pesantemente la
“ragion di Stato”. Non basta, in questi casi, la responsabilità dei
funzionari. L’art. 95 della Carta dice che i ministri, ciascuno
personalmente, portano la responsabilità degli atti dei loro dicasteri.
Se, sotto di loro, si formano gruppi che agiscono in segreto, per conto
loro o in combutta con poteri estranei o stranieri, il ministro non
risponderà penalmente di quello che gli passa sotto il naso senza che se
ne accorga. Ma politicamente ne è pienamente responsabile. Troppo
comodo il “non sapevo”. Chi ci governa, per prima cosa, “deve sapere”.
Se no, dove va a finire la nostra sovranità? Chi, dovendola difendere,
in questa circostanza, non l’ha difesa?
Che dire del blocco del Parlamento decretato per protesta contro l’Autorità giudiziaria?
Che,
anche questa, come la manifestazione di decine di parlamentari
scalpitanti dentro e fuori il Tribunale di Milano, è una vicenda
inconcepibile. Altrettanto inconcepibile è che l’una e l’altra non siano
state oggetto di puntuale e precisa condanna. Anche qui: ammettiamo per
carità di Patria che l’una sia stata una normale sospensione tecnica e
l’altra una visita guidata a un palazzo pubblico. Non basta, però,
averli “derubricati”, per poter dire che non è successo nulla. La
questione è che non s’è detto autorevolmente che l’intento e i mezzi
immaginati sono, sempre e comunque, inammissibili perché contro lo Stato
di diritto.
C’è una logica che spiega i singoli episodi?
Potrei
sbagliare, ma a me pare che su tutto domini la difesa dello status quo e
del governo che lo garantisce. In stato di necessità, si passa sopra a
tutto il resto. L’impressione, poi, è che in quella rete invisibile di
connivenze, di cui parlavo all’inizio, si finisca per attribuire a un
partito e al suo leader un plusvalore che non corrisponde al loro
consenso elettorale e alla rappresentanza in Parlamento. Come se
toccarne gli interessi possa determinare una catastrofe generale. Sembra
che tutti siano utili, ma qualcuno sia necessario e, per questo, si
debbano tollerare da lui cose che, altrimenti, sarebbero intollerabili.
Così si è corrivi nei confronti di una parte politica, anche se c’è di mezzo la Costituzione. A chi spetta difenderla?
In
democrazia, a tutti i cittadini, che nella Costituzione si riconoscono.
Poi, a chi occupa posti nelle istituzioni, subordinatamente a un
giuramento di fedeltà. Infine, salendo più su, a colui che ricopre il
ruolo comprensivamente detto di “garante della Costituzione”, il
presidente della Repubblica.